Recita il Vangelo di Giovanni:
“Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.”
In effetti chi non ha intenzioni “cattive” non dovrebbe sentire la necessità di nascondersi, di rimanere nel buio, di essere anonimo.
L’anonimato, che è il “buio” della rete, esula tuttavia dagli insegnamenti biblici. Esistono situazioni nelle quali anonimato o quanto meno una forma di riservatezza sono un valore imprescindibile anche per chi coltiva solo buone intenzioni. Ha necessità di anonimato il dissidente dei regimi totalitari, cosi come noi tutti avremmo necessità di un minimo di riservatezza nel condividere meno informazioni sulle nostre vite, sulle nostre relazioni, sia nei confronti delle multinazionali che ci profilano, sia nei confronti degli altri.
Purtroppo gran parte dell’anonimato in rete non ha alcun fine nobile ed è lo strumento per coprire crimini, Cyber-Bullismo, pedofilia, stalking, insomma un rovescio della medaglia che minaccia le nostre vite e purtroppo nessuno pare abbia voglia di fare il benché minimo sforzo per risolvere il problema.

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Recentemente il Consiglio Federale Svizzero è riuscito a prodursi in un triplo salto mortale dialettico nel ribadire l’adeguatezza delle leggi a tutela delle vittime del Cyber-Bullismo:
“I reati commessi in rete restano quindi di regola impuniti non perché non contemplati dal diritto penale, ma perché è spesso difficile o addirittura impossibile applicare il diritto. Gli autori agiscono in modo anonimo nello spazio virtuale, il che ostacola il perseguimento penale.”
Vale a dire noi i cyber-bulli non riusciamo a prenderli perché si nascondono nell’anonimato, ma la legge è ottima. Risulta immediato comprendere come qualcosa non quadri nel ragionamento.
La nuda verità?

L’anonimato in rete è una questione complessa, non ci sono soluzioni semplici, assolute e perfette, ma le soluzioni esistono a mancare è la volontà politica di approfondire il tema e intervenire. Non esistono motivazioni tecniche che impediscano di affrontare di petto l’anonimato, si nota al contrario una grande confusione nella stessa definizioni di anonimato.
Da una parte esiste un anonimato di natura “tecnica” utilizzato dagli hacker contro il quale è oggettivamente difficile intervenire. Si tratta in ogni caso di uno strumento che ha come finalità quelle tipiche dell’hacking, violare sistemi, trafugare dati, commettere crimini informatici, non bullizzare giovani, non insultare personaggi più o meno famosi sui social, non fare violenza sulle donne. Come vedremo per rimanere anonimi gli hacker devono superare tutta una serie di ostacoli senza garanzia di un pieno successo e dovendo scendere a patti con le performance dei sistemi e con la loro effettiva garanzia di anonimato.
Questo vuol dire che per essere anonimi come un hacker bisogna avere delle competenze informatiche che la gran parte delle persone non possiede e infatti esiste l’anonimato più diffuso di chi si crea un profilo falso sui social. Questo tipo di anonimato può e deve essere fermato, basta volerlo.

E non è finita!
Esiste un altro tipo di “anonimato”, non a caso tra virgolette, ed è l’anonimato di chi magari insulta o condivide materiale inopportuno e non viene perseguito; sappiamo chi è, non fa nulla per essere anonimo, semplicemente è uno dei tanti commenti pieni di insulti che le vittime devono sopportare. Anche in questo caso l’anonimato è una scelta politica, non è una questione tecnica, non è un irrisolvibile problema tecnologico, ma una semplice scelta politica.
Delineati a grandi linee i vari tipi di anonimato nei prossimi articoli scopriremo come gli hacker riescono a rendersi anonimi e poi come si può garantire il diritto alla privacy, anche combattendo l’anonimato in rete.
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