Privacy e Libertà: valori a rischio

Qualche settimana fa parlando con un selezionatore di una nota agenzia di Head Hunter ho fatto una scoperta tanto “ovvia” quanto sconvolgente. Sono scomparsi i colloqui conoscitivi in presenza, ormai si fa tutto online. Siamo una mail, siamo un account, siamo dati informatici e se non abbiamo o non vogliamo avere un “avatar” informatico siamo nulla, siamo dei paria, dei dimenticati.

Negli stessi giorni Facebook mi limitava l’account perché avevo condiviso una foto di Hitler. L’aspetto singolare è che la foto non era accompagnata da un post di apologia del fascismo o del nazismo, ma semplicemente la copertina del libro “Hitler” di Antonio Spinosa edito da Mondadori. Quindi una biografia scritta da un noto giornalista e pubblicata da una notissima e autorevole casa editrice. Ciò nonostante per gli algoritmi di Facebook è materia della quale non si può parlare, non si può esprimere un’opinione quale che sia.

La copertina di libro che porta al ban di un account

Da una parte se non ho un mio io digitale, non sono nessuno, dall’altra quel mio io digitale deve viaggiare sul seminato deciso e definito dagli algoritmi.

Ora la mia brutta esperienza è stata tutto limitata e senza conseguenze, ma è l’ennesima testimonianza di una deriva nel rapporto di fiducia tra utenti e compagnie Hi-Tech. Purtroppo esistono casi gravissimi che coinvolgono ignari utenti e ne minano privacy e libertà.

Nel 2021 uno sviluppatore si ritrova all’improvviso con l’account google disattivato; nessun accesso a mail, foto, documenti e persino alla sim del proprio cellulare, i suoi dati permanentemente cancellati e una accusa infamante di pedo-pornografia. La colpa dell’utente è stata quella di fotografare il pube del proprio bambino e inviare al pediatra la foto per una prima diagnosi. Tutto questo accade perché google scansiona automaticamente le foto che noi inseriamo nelle sue app. Tralasciando le accuse penali, fortunatamente cadute nel nulla dopo quasi un anno, se ci si concentra sui soli aspetti informatici della faccenda si intravvede come la nostra privacy e la nostra libertà siano messe a rischio da questo atteggiamento dispotico delle Big Tech.

Quando i rischi non derivano direttamente dagli algoritmi, possono derivare da un comportamento fraudolento delle stesse aziende; è il caso della giornalista Cristina Criddle che scopre di essere “pedinata” virtualmente da ByteDance la compagnia dietro a Tik Tok che usava l’app social per spiare i giornalisti critici nei suoi confronti. Se a proposito di applicazioni e piattaforme cinesi si nutrono da anni dubbi essendo sotto il controllo diretto dello Stato Cinese, le imprese della democratica america non possono essere certo indicate come modelli. Nel 2023 un articolo di CBS (https://www.cbsnews.com/news/amazon-ring-ftc-lawsuit-customer-videos/) mette in evidenza come impiegati di Amazon e di terze parti abbiano avuto accesso a migliaia di video privati degli utilizzatori di Amazon Ring per visionare video compromettenti di carattere sessuale o seguire qualche bella donna. Lo stesso problema si è avuto con gli impiegati di Tesla che condividevano tra di loro video macabri degli incidenti stradali ripresi dalle autovetture.

il nostro quotidiano è ormai un mondo di dispositivi connessi alla rete

Esempi che sottolineano come privacy e libertà siano oggi più a rischio di quanto non fossero in passato. Da ormai una quindicina di anni la tecnologia che ruota attorno a internet è diventata parte integrante della nostra vita. Usiamo strumenti informatici sul lavoro, durante il tempo libero, negli uffici, in casa e portiamo nelle nostre tasche uno apparato sempre connesso, sempre tracciabile, sempre in ascolto. Una rivoluzione che ci ha permesso di rendere comodissimo il quotidiano evitando ad esempio le code agli sportelli della posta per spedire un pacco o pagare una fattura. Ormai le nostre comunicazioni sono quasi totalmente digitali e viaggiano attraverso server che ci mettono a disposizione applicazioni di messaggistica come whastapp, servizi di posta elettronica, servizi bancari, e-commerce e fonti di informazione, più o meno autorevole. La nostra vita ha assunto un forma digitale, noi siamo diventati in gran parte dati e se non siamo “digitali” rischiamo di non esistere.

I notevoli vantaggi sono controbilanciati da rischi enormi; la nostra privacy è costantemente minacciata, per quanto le aziende dichiarino di tutelarla gli utenti non hanno alcun controllo sui propri dati. Una azienda può dichiarare di rispettare appieno la privacy degli utenti andando anche oltre le imposizioni di legge, ma non c’è alcun modo di verificare che questo corrisponda al vero; con l’avvento delle IA il rischio cresce esponenzialmente. Si pensi solo alla applicazione Replika, un abbonamento mensile che permette di creare un partner virtuale con il quale intrecciare una relazione sentimentale. Tralasciando gli aspetti etico/morali della sostituzione di relazioni umane con relazioni di natura virtuale l’aspetto inquietane di questa tecnologia è la quantità di dati personali che è capace di accumulare. Tutti i nostri gusti, le nostre idee, le nostre aspirazioni conservate in un server accessibile a degli sconosciuti e mira di hacker, senza nessuna reale garanzia di protezione.

Nella solitudine del mondo moderno anche le relazioni si fanno virtuali

Se le minacce alla privacy sono gravi, non meno in pericolo è la libertà alla quale siamo abituati. In base ai dati raccolti e alle necessità le esperienze online che viviamo possono essere pilotate. Basti pensare all’algoritmo di Tik Tok responsabile della visualizzazione dei contenuti. La versione cinese dell’algoritmo propone contenuti edificanti, positivi, mentre la sua controparte occidentale propone contenuti trash. Certo di Tik Tok se ne può fare anche a meno, ma ciò non toglie che le proposte dei motori di ricerca e dei social possano essere manipolate, cosi come possono essere con facilità diffuse fake-news che poi si propagano incontrollate arrivando a generare malumore, malcontento e potenziali pericoli alla tenuta democratica dei paesi occidentali come è risultato evidente negli anni della pandemia.

Difendersi non è facile, ma è essenziale e gli strumenti non sono tecnologici, ma personali, umani. Per prima cosa ridurre per quanto possibile all’essenziale il nostro “avatar” digitale impostando opzioni come la disattivazione di tracciamento/cookies e preferendo servizi che “garantiscano” un minimo di privacy come il motore di ricerca duckduckgo o le mail di protonmail. Se queste sono accortezze di natura tecnica il grosso del lavoro lo deve fare la nostra attitudine a non divulgare informazioni online, non condividere foto nostre o dei nostri cari, condividere la nostra posizione, condividere le nostre idee se non all’interno di un nucleo ristretto e fidato. E sopra ogni cosa diventare genuinamente diffidenti della tecnologia, della comodità che offre, soprattutto quando è gratis.

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