Giunti alla fine del nostro viaggio alla scoperta dell’anonimato online non ci resta che passare dalle comode e distaccate analisi alle proposte utili a risolvere un problema che come si è visto sembra in apparenza irrisolvibile.
Il primo passo da fare è senza ombra di dubbio definire in maniera limpida quali sono gli obbiettivi da raggiungere; se ci illudiamo di eliminare il problema in toto finiremo con l’adottare soluzioni inutili e sbagliate sprecando tempo e risorse. Ancor peggio obbiettivi irrealistici (risolvere il 100% del problema) ci porterebbero a considerare il nodo indistricabile. Nei fatti è la situazione odierna; incapaci di risolvere una piccola quota parte del problema rinunciamo a risolvere il problema stesso.

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Con questa premessa risulta ovvio come il contrasto all’anonimato in rete non possa essere indirizzato alle forme “professionali”; un hacker o una persona dotata di adeguate conoscenze empiriche e competenze pratiche troverà sempre una modo per aggirare eventuali blocchi. Si tenga inoltre conto che molte attività di hacking nemmeno si pongono il problema di essere “anonime” perché coperte dallo scudo delle nazioni che li ospitano. E’ il caso della Russia, della Cina e della Nord Korea.
Esclusi gli hacker resta da gestire la massa di utenti della rete privi di competenze informatiche che si limitano a sfruttare l’anonimato relativo di un profilo fake, di una pagina o di un gruppo sui social; la stessa massa di utenti responsabile della diffusione delle fake news, dei discorsi d’odio, del Revenge Porn, stalking e cosi via.
Contrastare l’anonimato utilizzato per delinquere, per commettere reati si può e si deve fare affermando la sovranità nazionale sullo spazio virtuale.
Contrariamente a quanto si pensa il virtuale esiste:
- Esistono i server che ospitano siti e social;
- Esistono le società che creano i social e i siti;
- Esistono le persone che ne dettano le regole e li gestiscono.
Il virtuale esiste!

Il virtuale esiste ed ha confini definiti e definibili che lo stato deve presidiare e all’interno dei quali deve essere applicato l’ordinamento giuridico vigente.
Di un mondo virtuale non presidiato, di anonimato in rete, di odio si muore!
Ricordando il caso di Tiziana Cantone morta suicida per la vergogna e gli insulti ricevuti dopo la pubblicazioni di suoi video intimi diffusi in rete, il secondo passo è prendere coscienza della “realtà” fisica del virtuale e ridefinire parte dell’ordinamento giuridico tenendo conto delle peculiarità del mondo virtuale. Le leggi in vigore sono inadeguate a gestire la quantità e la velocità dei reati che si consumano in rete, non si può ignorare questo assunto. Oggi un insulto o un video compromettente può essere condiviso e diffuso da migliaia di persone contemporaneamente concedendo una sostanziale impunità a chi delinque caricandolo anonimamente in rete e a chi delinque condividendolo. Sostanziale impunità dettata da una parte dall’impossibilità di perseguire tutti, dall’altra dalla mancanza di strumenti efficaci per la denuncia.
In un quadro giuridico attualizzato diverrà più semplice anche richiamare alle proprie responsabilità i fornitori dei servizi che nulla fanno per contrastare il fenomeno, anzi come testimoniano le audizioni al senato americano di Frances Haugen, ex dipendente di Facebook, addirittura ne traggono vantaggio.
Definita la filosofia di approccio arriva anche il momento di parlare di soluzioni reali.
Innanzi tutto chi vuole operare in Svizzera, ma il discorso vale per qualsiasi stato, deve soggiacere alle leggi nazionali; che una azienda abbia i server in Svizzera o all’estero non fa alcuna differenza, se ci sono cittadini svizzeri che si collegano dalla Svizzera i server “sono” in Svizzera! Se non si adeguano, non possono operare sul territorio nazionale e quindi i loro IP devono essere bloccati a livello di ISP, Internet Service Provider.
Questo è necessario per ribadire la sovranità nazionale entro i confini del mondo virtuale, che esistono e sono presidiabili.

Fatto questo occorre definire un sistema che da una parte renda sempre identificabile l’utente reale; a condizione che l’identificazione sia richiesta da una autorità giudiziaria, cosi come accade ad esempio per le intercettazioni telefoniche. Lo Stato può sapere chi sono e cosa “scrivo”, solo se ci sono fondati sospetti che io stia commettendo un reato.
Dall’altra parte il sistema deve permettere all’utente di creare, se vuole, un profilo riservato, un nickname che ne tuteli la privacy nei confronti delle aziende e degli altri utenti.
Per raggiungere questo scopo chi fornisce i servizi internet, Facebook, Twitter e ogni sito/servizio che accetti commenti e condivisione di materiale deve essere obbligatoriamente in grado di registrare i suoi utenti in maniera certa e univoca, quindi attraverso un ID online certificato o attraverso un documento di identità. Non occorre specificare che per un tempo determinato deve anche conservare le attività del proprio cliente, come del resto fanno già senza scandalo di nessuno.
Questo è una bozza frettolosa, non certo una soluzione da mettere in atto, ma alla fine di questo viaggio lo scopo, che si spera di aver raggiunto, è averci reso coscienti del fatto che l’anonimato online è un diritto sino a quando non diventa un’occasione per ferire e rovinare le persone.