Giù la Maschera! Parte 3°

Nell’articolo precedente abbiamo puntato l’attenzione sulle attività necessarie ad un hacker nel tentativo di rendersi anonimo, irrintracciabile. Non a caso abbiamo parlato di anonimato “tecnico” specificando che quello è un vero “anonimato” perché cerca di nascondersi dall’Internet Service Provider (ISP) che ci offre la possibilità di connetterci ad internet. Al contrario registrarsi con un nome falso ad un social network è un’illusione di anonimato, perché i nostri “veri” dati tecnici (MAC Address e Indirizzo IP) rimangono tracciati o tracciabili.

A questo punto ci si dovrebbe chiedere:

“Se è cosi complicato rendersi veramente anonimo, perché è difficile combattere l’anonimato in rete?”

La domanda non è banale e la risposta nemmeno.

In generale esiste la scarsa capacità delle forze politiche e sociali di trovare persone che non si limitino ad essere “esperti” o presunti tali, ma sappiano unire la conoscenza tecnica ad una capacità di vedere “the big picture” come si dice oltreoceano, il quadro generale.

La politica si affida ad esperti, ma come fa chi non capisce una materia a giudicare chi è esperto?

Questo quando va bene; quando va male le stesse forze si affidano a personalità che hanno “tanti like” o millantano competenze totalmente autoreferenziali; se nel mio ufficio sono l’unico che sa accendere un computer, automaticamente, divento “il più esperto di informatica”, ma in realtà non sono “esperto”, ne so più di chi non ne sa nulla.
Il riflesso di questa incapacità di affrontare il problema e la scarsa rilevanza che si da ad esso porta a non far niente con buona pace delle vittime dei reati d’odio online.

Se manca un’analisi seria della situazione a peggiorarla concorrono altri elementi:

Confusione tra tutela della privacy e tutela dell’anonimato

La Confederazione Svizzera all’articolo 13 e 31, cosi come il IV° emendamento delle Costituzione Americana o l’articolo 13 della Costituzione Italiana ribadiscono con forza che la libertà personale e il diritto alla privacy sono diritti inalienabile e che possano essere limitati solo ed esclusivamente nei termini definiti dalla legge.
Vale a dire: la nostra corrispondenza, le nostre comunicazioni non devono essere violate, salvo che non lo ordini un tribunale che seguendo la legge permetta perquisizioni, intercettazioni e cosi via. Quindi è un mio diritto scrivere su whatsapp o su facebook in maniera anonima, senza essere spiato, né dallo Stato, né dal mio vicino. E’ un mio diritto essere anonimo? Certo, ma solo sino a quando non commetto un reato. Se commetto un reato, allora il mio diritto ad essere anonimo svanisce. Se insulto il mio vicino, il mio vicino ha il diritto di denunciarmi e lo Stato deve aver i mezzi per identificarmi. Questa è la differenza tra tutela della privacy e tutela dell’anonimato.

La difesa della privacy è importante, ma non può essere la scusa per essere anonimi
Photo by Matthew Henry on Unsplash

Arretratezza delle leggi

Se c’è confusione tra anonimato e privacy, ancora peggio c’è confusione tra ciò che è virtuale e ciò che è reale.
Il mondo di oggi è in gran parte virtuale, va ad una velocità e ha dimensioni che le attuali leggi non sempre sono in grado di gestire. Solo dieci anni fa se qualcuno derideva un ragazzo dandogli del ciccione, lo faceva davanti ad una platea di poche decine di persone al massimo, e rimanevano parole dette; facevano male, ma non venivano fissate da qualche parte. Oggi quell’insulto online può raggiungere migliaia di persone, rimanere in rete, diventare incancellabile.

Se qualcuno faceva una foto consensuale o meno ad una ragazza nuda e la condivideva con gli amici, quella foto rimaneva in un circolo ristretto. Oggi quella stessa foto arriva a migliaia di persone, milioni di persone e rimane in rete e rovina la vita alle vittime. Tutto questo in pochi, distratti secondi.

Il virtuale è reale; il virtuale può uccidere e ferire
Photo by Mika Baumeister on Unsplash

Chi deve fare le leggi non si rende conto che il virtuale è reale, il virtuale può ferire e uccidere, e quindi si deve comprendere che ci vogliono nuove leggi, nuove pene.

Se 1.000 persone in Ticino condividono la foto intima di una studentessa, quelle 1.000 persone non verranno mai indagate e se lo saranno, tutto finirà in nulla, perché sono troppe da indagare e troppe da portare a giudizio e quindi si fanno forti dell’anonimato della folla, del branco.

Mancanza di obbiettivi realistici
Provate ad immaginare perché ci dotiamo di una legge che ci obbliga ad indossare la cintura di sicurezza o imponiamo dei limiti di velocità.

L’obbiettivo è ridurre a zero mortalità e incidenti? Ovviamente no!
L’obbiettivo è ridurre in maniera significativa mortalità e incidenti; speriamo di azzerare il conto delle vittime, ma ci “accontentiamo” di piangerne il meno possibile.
Se questo ragionamento è valido per gli incidenti domestici, d’auto, per i crimini, allora perché non si fa nulla contro l’anonimato?
Sicuramente chi ha capacità tecniche e la voglia di spendere tempo per acquisirle e restare al passo coi tempi, troverà la maniera di rendersi anonimo, ma la gran parte delle persone cominceranno a capire che “profilo anonimo” non fa rima con “impunito”.

Molte cose non si vogliono fare solo perché costano, una scusa sempre attuale
Photo by Mathieu Stern on Unsplash

Fattori di natura economica

E dulcis in fundo le possibilità tecniche di contrastare l’anonimato in rete richiedono che le grandi piattaforme social e anche i provider internet (ad esempio Swisscom, Telecom, Salt, Facebook, Twitter etc… etc…) si dotino di sistemi adeguati che costano, esattamente come costano le nuove tecnologie per offrire nuovi servizi.

Se qualcuno gli chiede di investire in una rete veramente più sicura, urlano che non si può, che è inutile, che andranno in rovina e con una buona attività di lobby non si fa nulla, ma se devono buttare via miliardi di euro, dollari e franchi nel meta-verso o in qualche stramberie come gli occhiali di Google, in quel caso va tutto bene, si possono bruciare soldi.

E quindi che fare? Lo vedremo nel prossimo articolo!

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