Ispirato al romanzo di James Grady “I sei giorni del Condor”, a distanza di 50 anni dalla sua uscita, il film di Sydney Pollack incanta ancora. Una scena iniziale che riporta ai primordi dell’Informatica.
Scanner che girano le pagine da soli, computer che traducono documenti dal cinese, avveniristiche stampanti ad aghi; un affresco che nell’iperconnesso mondo odierno potrebbe far sorridere e al contrario rimane attualissimo, perché la tecnologia evolve, ma le debolezze dell’uomo rimangono immutate.
Una magistrale spy-story, un universo di ombre dominato da personaggi fluidi pronti a cambiare fronte senza il minimo scrupolo seguendo i propri interessi e gli interessi di un altro mondo, un mondo di vittime ignare, ma complici come ci ricorda l’inquietante e profetica scena finale. Se queste premesse non dovessero convincervi a guardarlo, sappiate che le vicende di Joseph Turner e Kathy Hale, rispettivamente Robert Redford e Faye Dunaway, rappresentano un manuale minimo di Sicurezza Informatica.
Joseph Turner è un anonimo impiegato presso una società letteraria. Recensisce libri e riviste come fanno i propri colleghi. Una innocua società di bibliotecari, un anziano direttore in tweed e una segretaria con la pistola nel cassetto. Perché Turner è anche il Condor e come lui ogni suo collega a un nome operativo. Nella realtà l’insospettabile “American Literary Historical Society” è una cellula OSINT della CIA. Studiosi pagati per fare Open Source Intelligence.
Ecco il primo richiamo all’Hacking; non esiste attacco informatico, a parte le sgrammatiche mail di phising, senza che vi sia una lunga e noiosa fase di raccolta informazioni chiamata ora Reconnaissance, facendo capo al gergo militare, ora Information Gathering, ora FootPrinting. Un lavoro che occupa il 90% del tempo di un hacker e rappresenta il 90% degli incarichi di ogni Servizio Segreto al mondo. OSINT sono tutte le fonti pubbliche: libri, articoli di quotidiani, siti internet, report finanziari, annunci di lavoro, manuali d’uso di un prodotto. Una quantità di informazioni che si possono trovare senza dover compiere nulla di illegale, senza destare sospetti. Dati che presi singolarmente sono poco interessanti, ma se messi assieme disegnano mappe sopra le quali cerchiare di rosso gli obbiettivi da colpire.
Il secondo spunto interessante viene offerto da un dialogo tra il capo sezione Wicks e il contabile, Sam Barber, collega e amico di Turner che non dovrebbe conoscere nulla di ciò che è avvenuto.
Sam – Si può’ sapere che diavolo è successo oggi?
Wicks – Quando?
Sam – Stamattina! Tutti quei morti?
Wicks – Quali morti?
Ovviamente Wicks nega, ma come fa un contabile a conoscere l’esito di una operazione tanto segreta da esserlo persino per la CIA stessa?
E’ un caso da manuale di fuga di informazioni (Information Leakage). Un messaggio riservato parte da un dirigente indirizzato ad un altro dirigente. Per arrivare a destinazione il messaggio deve passare attraverso i corridoi e le linee dell’organizzazione, da un operatore di basso livello e ad un altro operatore di basso livello, mentre le segretarie origliano, si parlano, si lasciano scappare confidenze.
Ecco un altro spunto, il Social Engineering.
Social Engineering o ingegneria sociale è l’arte di manipolare gli altri per estorcere informazioni che di norma non sarebbero disposte a darci, ma se una persona è stata gentile con me o magari quella ragazza ci piace, capita di raccontare piccoli segreti, giusto per sentirsi importanti, per far colpo o sdebitarsi. E’ anche l’arte di spacciarsi per qualcun altro (Impersonation) come farà Turner per intrufolarsi nella sede di una compagnia telefonica e rintracciare un numero con la tecnica del phreaking, la manipolazione degli apparecchi telefonici.
Ecco l’ultimo spunto e quanto sia interessante per un appassionato di Sicurezza il capolavoro di Pollack c’è lo racconta la storia del dodicenne Kevin Mitnick che dopo aver visto il film decise di diventare uno dei più famosi hacker della storia, nome in codice: Condor.
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